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A volte ci dimentichiamo che ci sono corpi umani differenti per corporeità ed esteriorità e credo sia dovuto al bombardamento mediatico che ci impone un solo canone di fisicità, del bello, di motricità e di spazio e di conseguenza chi è o non è. Non ci facciamo caso a livello conscio, ma c’è una routine giornaliera che ci rende meno sensibili e percepiamo meno il nostro corpo: muoversi nello spazio, dentro le mura di casa, in strada, negli edifici, dare cioè per scontati il movimento motorio delle braccia e delle gambe nel camminare, nell’evitare ostacoli e nel salire le scale. Non tutti i corpi reagiscono allo stesso modo. La secrezione di materia fisiologica fa parte del nostro corpo, della nostra intimità, ma anche dei nostri tabù quotidiani: questa intimità è celata, tanto da essere estranea e di conseguenza ignorata, quando dovrebbe riemergere per porre una riflessione sul bello. Quali sono le dinamiche del guardare e del vedere? Volgiamo lo sguardo a questo corpo e a queste sembianze, ma lo distogliamo subito dopo, abbiamo visto, ma facciamo finta di non percepire. Si creano un meccanismo e una percezione non del guardare, ma del non-guardare. Questo potrebbe ridefinire il ruolo dello spettatore in cui la funzione è il non-guardare: non-guardare il corpo, la bellezza, il movimento, lo spazio e infine se stessi. 

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